Ultimamente il mainstream editoriale nonchè televisivo non si fa che parlare d’altro che dei regimi antidemocratici quali Iran, Russia, Cina (condannabili sotto ogni profilo) Ma noi in Italia in cosa possiamo differenziarci da tali governi totalitari?
Con la libertà di voto, di stampa, della rete, di culto, di giustizia, di diritti umani? Ma ne siamo così proprio certi? Certo è che ci piace l’idea di coltivare che da noi esista ancora l’esercizio del potere elettorale, mentre nei paesi di “regime” si vota a comando, in preda alla propaganda ed alla violenza più o meno palese. Ma pure qui da noi, il voto non è da meno condizionato.
Corruzioni e infiltrazioni mafiose, propaganda mediatica, l’induzione all’astensionismo di massa ( anche se non palesemente dichiarata ). Le nostre comunità repubblichine e occidentali non sono certamente paragonabili a quelle islamiche, sovietiche, asiatiche ma non sono neppure poi così tanto poi democratiche. L’atteggiamento monopolistico delle testate editoriali, i processi di reclutamento dei giornalisti, l’autocensura redazionale, i talk show monotematici, il controllo politico delle reti televisive sono tutti fattori alquanto evidenti di un condizionamento profondo con l’unico vero obiettivo di controllo a monte delle possibilità di critica e di indagine.
Persino la rete, nata con lo scopo di pluralizzare l’informazione e renderla meno dipendente dai poteri forti, è oggi quasi totalmente in mano ai Big Data quali Facebook, Twitter e altre piattaforme network divenendo così, inversamente alle sue origini, il contesto di un controllo ancora maggiore delle nostre vite. L'essere umano, in effetti, cerca continuamente di "adattare" la sua rappresentazione della realtà al suo ambiente reale, ma la qualità di questo adattamento dipende da due fattori. Il primo è la qualità delle informazioni (fatti+opinioni), sempre esposta al rischio di manipolazione. Il secondo dipende dalla sua capacità di analizzarle criticamente senza "piegarle" ai propri pregiudizi.
Persino le istituzioni religiose sono ormai marginalizzate. Lo stesso papa Francesco, ultimamente, ci ha provato in vari modi a interferire sulla politica, ma con effetti evidentemente scarsi, anche nei confronti dei suoi stessi fedeli (che, spesso, votano e scelgono politiche e politici certo non conformi alla fede cristiana). Possiamo quindi pensare ancora ad uno stato di diritto? L’autonomia della magistratura, i diritti umani e di cittadinanza dovrebbero almeno così differenziarsi!? Certo è che giudici e magistrati, per legge, non possono far altro che applicare le leggi. In questo, alla fin fine, siamo tutti sulla stessa barca: se i regimi politici vanno verso posizioni antidemocratiche e autoritarie, non saranno certo i corpi giudiziari a potersi e volersi mettere di traverso. Anzi: sia per quei regimi che per i nostri, essi diventano proprio gli esecutori diretti di qualunque potenziale efferatezza e ingiustizia, come la storia dello scorso secolo ha dimostrato ampiamente. Altresì inutile farsi illusioni sull’esistenza presunta di eserciti “democratici”. Al momento opportuno, gli Stati utilizzano gli eserciti per quel che servono: contro i nemici esterni, in guerra, ma anche contro eventuali opposizioni interne.
Come si comporterebbero i servizi segreti, le forze dell’ordine? Lo sappiamo già e lo vediamo già, al minimo accenno di protesta non programmata e fuori dalle righe. Ma si persevera nel diffondere immagini di Teheran, di Mosca o di Pechino come se si trattasse di un mondo lontano e alieno, incompatibile con quello in cui “ci troviamo a vivere”. Concludendo: la crisi della territorialità del diritto originatasi con il processo di “globalizzazione economica” e di integrazione politica ha ridotto l’autorità degli ordinamenti costituzionali dei singoli Stati, i quali cedendo progressivamente poteri sovrani appaiono sempre meno legittimati a controllare i complessi processi di trasformazione istituzionale.
La crisi dello “Stato Nazione e della sua sovranità” ci ha portato così ad una crisi della stessa sovranità popolare, che ha determinato in difetto la democraticità sia a livello di Unione europea che all’interno dei singoli Stati.
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