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Un nuovo stato sociale emergente



Craxi che riemerge sulla scena politica come grande statista al ventennale dalla sua morte quando a suo tempo era condannato dall’intera società.




Oggi come oggi riemergono i ricordi quasi fosse un fantasma a cui attribuire tutti i mali del presente. Sfruttamento, precariato o intermittente, il lavoro e la sua mancanza costituiscono la fonte principale della nostra sofferenza e del nostro degrado sociale. In noi prevale la rassegnazione e la paura e lungi dal pensare che un’azione collettiva possa cambiarla.

Le sofferenze esperite nel luogo di lavoro sono considerate come mali privati sconnessi dal vissuto e dalle sofferenze delle altre persone che condividono le stesse condizioni. In breve il lavoro è centrale, ma non produce identità sociale e di mobilitazione.

Ma in questo disagio sociale chi dovrebbe essere la vera controparte?
La condanna, se non un vero e proprio disgusto, viene riservata alla classe politica considerata alla dipendenze del vero potere, l’élite economico-finanziaria. L’ostilità nei confronti dei politici si accompagna però a un atteggiamento di delega nei confronti dei partiti. 

Nessuno di noi pensa ad un impegno diretto nella politica, ma si vorrebbe che le organizzazioni politiche come anche quelle sindacali tornassero ad avere un profilo alto e adeguato alla propria funzione pubblica.

La popolazione è ormai divisa in due fazioni: da una parte, si vorrebbero proposte forti che identifichino e differenzino tra loro le forze politiche attraverso una polarizzazione netta e chiara, dall’altra si chiede ai partiti di superare litigi e contrasti inutili, di lavorare insieme in nome del bene comune. Una cosa è certa: emerge con molta forza la richiesta di una maggiore presenza dello Stato. Praticamente nessuno crede al fatto che la privatizzazione dei servizi pubblici abbia un effetto benefico.

Ma in quale senso occorre lavorare politicamente?
Più che fare leva alle contraddizioni occorrerebbe puntare a rimuovere l’elemento che, a mio parere, rende possibile l’oscillazione tra gli opposti: la passività delle classi popolari, il loro atteggiamento delegante. Ben vengano manifestazioni e comitati civici nate per volontà dei cittadini di fronte alla sensazione di decadimento sociale, non ostili a discorsi politici e che provino nuovamente a interpretare e reinventare una lingua (politica) per parlare di ciò che le persone vivono nel tessuto sociale e lavorativo.

Per questo bisogna avere un disegno di società, a patto che si sappia mettere insieme pragmatismo e capacità di agire sul simbolico.

Quale che sia la risposta, ricominciare daccapo è fondamentale soprattutto quando essa ci aiuta a ribaltare luoghi comuni ideologicamente fuorvianti e politicamente paralizzanti. In questi momenti difficili ciò che sembra impossibile e fantasioso può apparire come un qualcosa di semplice e naturale.