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L’italia in coda agli stati membri ue



La nostra cara Italia. Da sempre in coda agli altri stati membri UE. Ad ognuno il suo capro espiatorio: la globalizzazione, la Cina, i migranti e ora il Covid 19.  




La crisi finanziaria a partire dal 2007 ha per davvero preso la via del declino e irrefrenabile. Eppure per anni i governi di centrosinistra e di centrodestra si sono avvicendati ma la mancanza di una visione coerente nel suo insieme ed il fatto di importare modelli di governance diversi tra norme inconciliabili pescate da Francia, Germania e Stati Uniti hanno di fatto aumentato la disuguaglianza tra le classi sociali e reso più rigido il mercato del lavoro perdendo dinamismo e produttività con una burocrazia sempre più aggrovigliata dalle innumerevoli leggi.

E ogni volta la politica non riesce a riflettere sugli effetti delle misure da prendere e si cercano nuovi alibi. Seppur scopiazzando un modello di capitalismo ibrido tra la rigidità tedesca e la flessibilità americana il risultato finale di questa ibridizzazione è stato il crollo dell’innovazione. Centrodestra e centrosinistra hanno perseguito la stessa politica economica. Non solo è mancata una strategia coerente nel lungo periodo ma anche la continua e logorante discussione con i vari gruppi di interesse ha portato solo riforme parziali senza una visione d’insieme. Il problema non è cosa ma come e quali norme si sono scelte per riformare. In Italia i governi hanno favorito la privatizzazione e liberalizzazione degli istituti di credito per avere un grande consolidamento bancario ed essere così più simili agli Stati Uniti.

Ma allo stesso tempo hanno permesso alle banche di comprare le azioni delle aziende come in Germania. Il problema non è la privatizzazione ma le regole disegnate male che hanno portato così tanti cambi di proprietà. Ma non è che il capitalismo NON funziona perché è cattivo in sé. I capitalisti italiani non sono peggio di altri nel mondo. Questi sono alibi di chi non vuole vedere la realtà. La politica deve stabilire dei paletti che condizionano le scelte degli attori economici e non viceversa.